Riprendiamo la lettura del ricco ed affascinante volume “I Tesori di Lucrezia Borgia d’Este. Gli inventari del guardaroba (1502-1504) e delle gioie (1516-1519) nel fondo “Archivio Segreto Estense” dell’Archivio di Stato di Modena", edizione critica a cura di Diane Ghirardo con la collaborazione di Lorenza Iannacci e Francesca Speranza, Modena, Golinelli Editore, 2019 con un nuovo appuntamento dedicato a qualcosa che non può certo mancare in un guardaroba femminile: gli accessori, che completano e arricchiscono un abito, assolvendo anche ad un uso pratico legato a varie necessità.
Il primo accessorio per eccellenza sono senza dubbio le scarpe, e così era anche nel Cinquecento: come ci racconta la storica Diane Ghirardo, nell'inventario di Lucrezia è registrata un'incredibile collezione di scarpe, più di ottanta paia, realizzate in diverse fogge, colori e materiali: dieci paia di colori diversi e ricamate d’oro, tre paia di velluto e due bianche ricamate d’oro. Oltre a queste, si contano ventisette scarpe di cuoio dipinte e dorate e più di trenta di cuoio inviate da Valencia. Il libro di costumi di un anonimo autore illustra alcune di queste calzature, o chapine (v. nota 1).
Queste ultime, che ritroviamo nell'inventario anche come “tapine”, conosciute anche come “chapine” o “chopine”, “pianelle”, erano scarpe d’orgine spagnola, risalenti all’epoca romana. Furono costruite in legno o più spesso in sughero, sufficientemente alte per evitare il fango e l’acqua. Si portavano o sole o come base per scarpe più leggere e delicate. Le tapine potevano essere coperte di stoffe preziose, di cuoio, o corame lavorato e colorato e/o dipinto. L’inventario comprende più di ottanta paia di scarpe confezionate con stoffe preziose e tapine (probabilmente di sughero) di pelle lavorata e colorata (v. nota 2).
Altri accessori che univano allo stile una funzione pratica, e che sono registrati in numero cospicuo nell'Inventario del guardaroba della duchessa, sono le maniche, le mezze maniche e i colletti, che completavano l'abito ma, come pezzi separati, potevano essere facilmente essere sostituiti e lavati. Ne troviamo para nove de diverssi colori, et uno para de meze manege (v. nota 3), e a altre ancora in raso biancho e verde lavorate d’oro da martelo e d’oro de canotiglio (v. nota 4).
Allo stesso modo, vi erano ulteriori complementi dell'abbigliamento quali busti, corpetti e calze, in lana, seta o velluto, anche queste in colori e con lavorazioni diverse. Troviamo anche diversi saragogli, o saragüelles in catalano, dall’arabo sarawil; calzoni larghi foggiati in pieghe, tipici di Valencia. Spesso portati dalle donne sotto la gonna, forse utilizzati anche per cavalcare (v. nota 5), che probabilmente somigliavano ai sarouel, i pantaloni a foggia larga che sono tornati di moda anche in questi ultimi anni.
Non mancavano naturalmente le cinture, i cinti, ne troviamo ad esempio in raso e velluto, che davano struttura e forma all'abito, e a cui potevano essere collegate le borsse da cinti, un altro accessorio ancora oggi immancabile nei guardaroba femminili, e non solo (v. nota 6). Altre cinture, quelle realizzate in oro battuto arricchite da elementi preziosi, sono registrate anche nell'Inventario delle gioie (v. nota 7):
[11v]
127. Uno cinto di oro battuto in pezzi dodece grande et bellissimo lavorato sottilmente et il suo scarselino, pesa in tuto onze decedocto in tuto et computato in gli XII pezzi gli allaciamenti col scarsellino suo et fiochi 1, et per ciascuno fiocho bottoni 6 fra grandi et piccoli tutti di oro battuto. Visto il cincto de pezi 13 computa il scarselino, ma li botoni in forma de fiochi se è facto uno cincto, in questo, c. 26 ‹n.› 401 et visto. Et visto uno de li botoni grossi avanzato del dicto cincto, pesa dicto botone octavi tri, karati quindece.
128. Uno cinto di velluto negro col fornimento di oro battuto in pezzi 14 computati quelli dui del scarsellino et intorniato di ritorti di oro batuto, pesa onze nove e meza cum il veluto. Visto
129. Uno cinto di raso negro lavorato di seda negra da maestro Sismondo col mazzo, la fiubba lavorato a fugliami, 3 passetti et uno annelletto per attacarli il zebellino cum una verga attacata al dicto anneletto di oro battuto, pesa cum il raso onze tre, octavi cinque et karati nove. Visto
130. Uno cinto di raso negro lavorato di seda negra cum mazzo, fiubba et passetti 3 di oro battuto, pesa onze tre, octavi dui et karati diece. Visto et è dicto fornimento attacato ad uno cincto de veluto alto et basso facto a stuora.
131. Uno cordone grosso interzo di seda berretina cum groppi quatro di oro battuto lavorati di fillo facti a rosete pieni di compositione, pesa onze quatro, octavi septe et karati sei computa la seda. Visto
132. Uno cordone di seda berretina grosso cum quatro groppi di oro battuto schietti facti a cordone de san Francesco, pesano cum la seda onze doe e meza et karati diece. Visto
Concludiamo con la descrizione di altri due indispensabili accessori, molto utilizzati dalle donne aristocratiche dell'epoca: ventagli e guanti. Alcuni ventagli preziosi appartenuti alla duchessa, sono registrati nell'Inventario delle gioie (v. nota 8):
[9v]
112. Uno manico da ventaglio di oro battuto fatto ad epitaphio, smaltato di bianco, verde et rosso, et in mezzo uno epitaphio piccolo cum lettere «Amen», pesa onze tre, octavi septe, computando il ferro che li è dentro per ligare il ventaglio. Visto
113. Uno ventaglio negro coperto di penne bianche sotto ad una grada di oro battuto col manico di oro battuto cum smalto, pesa onze tredece, octavi quatro, karati nove, compute le penne.
Visto 114. Uno ventaglio negro col manico di calcedonio guarnito di oro battuto. Non visto
Leggiamo in proposito l'interessante descrizione dal saggio di Diane Ghirardo, pubblicata nel volume:
Oggetti eleganti e funzionali ad affrontare il clima afoso e caldissimo della città. Due mesi prima del suo decesso, Lucrezia ordinò sei manici per ventagli da realizzarsi in corno di bufalo per le sue damigelle: «Lira una, soldi due per tanti de la valuta de la sua merzede d’aver fato sei manichi di chorna di bufallo per fare sei ventalii a sei donzelle». Quando viene lavorato, il corno di bufalo diviene lucidissimo quanto il guscio di tartaruga: un materiale pregiato, liscio e leggero. I ventagli personali della duchessa erano ancora più lussuosi; nel suo viaggio ne vennero portati almeno undici, alcuni con manici dorati o realizzati in ambra. Negli anni successivi ne vennero ordinati altri, compreso uno al maestro Alfonso Veronese: «Uno ventaglio piccolo novamente fatto per maestro Alfonso Veronese, cioè tutto il corpo fatto d’oro battuto a fiori stampiti, cum un quadretto da ogni canto, nel mezzo lavorato di filo con pasta di compositione, et il manico pure d’oro batuto, circondato da penne de struzo negro». Un ventaglio di questo tipo, con piume, si vede nella mano della figura rappresentata a sinistra nel libro di Weiditz del 1530, anche detto Trachtenbuch. Nel 1511 Lucrezia scrisse alla cognata Isabella chiedendo qualche ventaglio nero «senza guarnitione alcuna che sia bello et di qualche bella foggia» perché temeva che quelli ordinati a Milano non arrivassero in tempo, anche se non si comprende il motivo della fretta.
Nel corredo di una donna aristocratica non potevano mancare i guanti, e Lucrezia ne possedeva almeno due dozzine: alcuni portati da Roma, altri ordinati negli anni successivi e altri ancora ricevuti in regalo. Nel giugno del 1503, Lucrezia ringraziava la cognata Isabella d’Este per il dono di alcuni guanti: «Et cosi la rengratio summamente del suo bono animo che tiene in tutte mie requisitione, come anche della dozena de guanti ch’elle piaciuto mandarme» (v. nota 9).
Auspicando di avervi intrattenuto piacevolmente pur trattando temi complessi, ricordiamo, come già detto, che il nostro intento è offrire pillole e brevi assaggi del contenuto di un volume del tutto peculiare, costituito da varie parti: una rigorosa edizione critica di documenti conservati nell’Archivio di Stato di Modena, una disamina storica sul tema dei gioielli, acconciature e mode rinascimentali, un ricco apparato di immagini a colori di oggetti museali d’epoca o tratte da opere pittoriche del periodo indispensabili per apprezzare meglio il tema trattato.
Per una completa lettura, il libro è acquistabile contattando Lapam Confartigianato Modena - Reggio Emilia:
tel. 059 893 111 o mail: elena.baraldi@lapam.eu
Torna all'indice della rubrica
Note
1: Diane Ghirardo, I Tesori di Lucrezia Borgia d’Este, p. XXXI
2: Inventario del guardaroba (1502) nota n. 73 p. 38 (pdf)
3: Inventario del guardaroba (1502) c. 88d (pdf)
4: Inventario del guardaroba (1502) c. 88s (pdf)
5: Inventario del guardaroba (1502) nota n. 68 p. 36 (pdf)
6: Inventario del guardaroba (1502) cc. 93-94 (pdf)
7: Inventario delle gioie (1516-1519), c. 11v
8: Inventario delle gioie (1516-1519), c. 9v
9: Diane Ghirardo, I Tesori di Lucrezia Borgia d’Este, pp. XXXII-XXXIII
Riferimenti bibliografici
Le notizie e i brani della trascrizione dei due inventari sono estratti dal volume:
I Tesori di Lucrezia Borgia d’Este. Gli inventari del guardaroba (1502-1504) e delle gioie (1516-1519) nel fondo “Archivio Segreto Estense” dell’Archivio di Stato di Modena, edizione critica a cura di Diane Ghirardo, con la collaborazione di Lorenza Iannacci e Francesca Speranza, prefazioni di Anna Maria Buzzi e Patrizia Cremonini, Golinelli Editore 2019.
Della vasta bibliografia prodotta su Lucrezia Borgia ci limitiamo qui a segnalare alcuni note e fondamentali opere legate all'argomento della rubrica:
Tamalio Raffaele, “Lucrezia Borgia, duchessa di Ferrara”, in Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 66, 2006 (link)