Sempre continuando nella lettura del ricco ed affascinante volume “I Tesori di Lucrezia Borgia d’Este. Gli inventari del guardaroba (1502-1504) e delle gioie (1516-1519) nel fondo “Archivio Segreto Estense” dell’Archivio di Stato di Modena", edizione critica a cura di Diane Ghirardo con la collaborazione di Lorenza Iannacci e Francesca Speranza, Modena, Golinelli Editore 2019, eccoci al secondo appuntamento dedicato ai Tesori di Lucrezia Borgia. In occasione delle festività Pasquali, il tema di oggi è dedicato alla scoperta degli aspetti legati alla devozione e alla spiritualità di Lucrezia attraverso alcuni gioielli e arredi appartenuti alla duchessa. I documenti d'Archivio ci offrono una prospettiva inusuale ricca di informazioni utili a dipingere il ritratto di Lucrezia: gli oggetti di cui si circondava, ad ornamento della sua persona, delle sue camere e della sua cappella, o quelli che prestava o donava ai suoi figli, costituiscono nel loro insieme una preziosa testimonianza che ne chiarisce l’immagine di donna ricca di generosità e dalla profonda spiritualità, proprio come suggerito dal suo confessore Tommaso Caiani, nel cospicuo carteggio intercorso fra i due.
Il primo elemento che riscontriamo dalla lettura dei due inventari è che la maggior parte delle gioie è composta da diamanti, smeraldi, rubini, perle e oro: preziosi noti per le loro qualità benefiche. All’epoca infatti, si credeva che le pietre e i metalli avessero dei poteri d’origine divina, ed erano collocati ai primi posti tra i sette mezzi di perfezione indicati da Marsilio Ficino nelle sue teorie neoplatoniche, dotati del potere di attirare la potenza celeste (i sette mezzi sono: 1. pietre metalli; 2. piante, frutti e resine; 3. profumi, unguenti e polveri; 4. parole, canti e musica; 5. moti dell’immaginazione e passioni; 6. logica e ragione umana; 7. uso della mente divina, occulto , poteri superiori che trascendono la ragione umana. Ad ogni mezzo era anche collegato un astro: 1. Luna, 2. Mercurio, 3. Venere, 4. Sole, 5. Marte, 6. Giove, 7. Saturno Ficino Marsilio, Come ricevere vita dal cielo in Sulla Vita a cura di Alessandra Tarabochia Canavero, Milano, Rusconi, 1995); tra questi le gemme erano ritenute le più adatte, a seguire lo smeraldo - che si considerava un simbolo di rinascita e di pace -, il giacinto, l’ametista, lo zaffiro e il rubino.
Oltre a questo tipo di simbolismo, le gemme avevano anche altri significati: come il sole irradia il mondo e Dio illumina e apre le menti degli uomini, le gemme, dotate di grande luminosità, racchiudono un riflesso del sole e un riverbero della luce divina. I preziosi descritti nell'Inventario delle gioie (1516-1519) sembrano proprio irradiare questa benefica luce: il primo oggetto in lista è un enorme diamante incastonato in oro con un bellissimo pendente di perla. Poco più avanti, al n. 4 dell'elenco, è descritto un gioiello che riporta l’iscrizione «Gesù» tempestata di diamanti, inserita all'interno di una montatura d’oro che pende da una catena dello stesso materiale. Nella stessa registrazione si legge che la duchessa portava al collo questo ciondolo, probabilmente quale amuleto contro il maligno, pratica assai diffusa tra il XV e il XVI secolo. Ciondoli o spille con il nome di Cristo, inoltre, erano frequentemente indossati direttamente sulla pelle perché si riteneva che il contatto fisico con questi amuleti garantisse maggiore protezione.
Proseguendo nella lettura dell'inventario, alla registrazione n. 6, troviamo quattro grandi diamanti sfaccettati e incastonati in triangoli d’oro, rappresentanti la Trinità, smaltati in bianco, rosso e turchese. Uno di questi era attaccato ad un epitaffio d’oro (un epitaphio, ovvero un’icona, di solito realizzata su stoffa), che in questo caso raffigura il corpo di Cristo preparato per la sepoltura. L’oggetto successivo in lista è costituito da due diamanti e da un rubino modellati in un nuovo epitaffio, mentre al n. 12 è presente: Una croce di oro col crocifixo pur di oro cum diamanti cinque in tavola assai grandi et 3 piccoli in loco de chiodi de mani et pedi et uno rubinetto in la piaga del costato cum perle otto: doe per cappo di epsa croce et di dietro in mezzo la corona spinea uno diamante fatto a cuore. (v. nota 1)
Questi sicuramente erano tra i più costosi oggetti di gioielleria sacra posseduti dalla duchessa, ma ve ne erano molti altri. Ai suoi figli, Giovanni (l’Infante Romano), Ercole II, Ippolito II, Alessandro, Eleonora e Francesco, la duchessa aveva procurato una serie di medaglie da appuntare ai cappelli e diversi Agnus Dei da indossare al collo. Numerosi anche i rosari realizzati in materiali diversi che appaiono nell’inventario, solitamente sotto forma di corona, o in alcuni casi sagomati come cinture.
Oro, smalti, perle, rubini, diamanti dai tagli più svariati, una incredibile varietà di gioie e preziosi, che spesso, come si legge in diversi punti dei due inventari, ornavano i manufatti devozionali e i luoghi di culto. Lucrezia infatti, come abbastanza usuale per le nobildonne dell'epoca, disponeva all'interno dei suoi appartamenti di una cappella privata, in cui la duchessa si ritirava per i momenti di preghiera personali e dove venivano officiati i culti sacri. Nell'Inventario del guardaroba (1502) si può trovare ampia testimonianza degli oggetti (messali, pianete, tovaglie, tende, quadri, candelieri...), sempre di grande pregio e valore, che adornavano questo oratorio privato; e proprio la presenza di oggetti adoperati per la celebrazione della messa quali calici, scatole per ostie, ampolle per il vino e l’acqua, ci conferma che la duchessa partecipava alla messa nella cappella, probabilmente insieme alle sue donzelle. (v. nota 2)
Nell’Inventario delle gioie, in un'annotazione datata 7 marzo 1517 presente a carta 39v, leggiamo che in occasione della Quaresima, la settimana successiva al Mercoledì delle Ceneri, Lucrezia fece portare diversi oggetti sacri nei due camerini posti all'interno della propria cappella privata:
(387.) Una copa da bere de cristalo col coperchio orlada de oro batuto posta in capsa a dì 7 de marzo 1517, posta in inventario in questo a c. 35.
(247.) Lo agnusdei col Volto Sancto de matre de perle a n. 247. Rese.
(248.) Lo agnusdei grande cum la Madona et il figliolo in brazo a n. 248. Rese.
(251.) El tondo coperto de veluto cum la Madona de argento a n. 251. Rese.
(252.) El vaso di acqua di profumo col coperchio a n. 252. Rese.
(253.) El spechio di argento con fogliami a n. 253. Rese.
254. El spechio in uno tondo de argento cum certi fogliami a n. 254.
(263.) La sedarina(72) col manico de argento a n. 263. Rese.
380. Lo officio de la Madona in carta bona coperto de veludo verde a n. 380.
Questo offitio è ritornato in capsa.
Le cose descripte in le soprascripte otto partite have la signora per mettere in li dui camarini sotto la capella questo dì 7 marzo 1517.
Gli oggetti sacri qui solo brevemente elencati sono dettagliatamente annotati nello stesso Inventario delle Gioie qualche carta più indietro (cc. 18-20, nn. 234-268) con la consueta dovizia di particolari, in un elenco di manufatti tra i quali spicca una croce di legno di aloe portata di Ierusalem guarnita de oro dai capi cum una Madonna al pede, pesa onze meza, karati sei (n. 245). Da questa lista si evince, inoltre, che la duchessa conservava nelle sue stanze diversi passetti, oggetti che i credenti baciavano prima di ricevere la comunione, anche conosciuti come paci. Lucrezia tenne con sé solo un passetto, realizzato in argento con rappresentazione, in madreperla, del Cristo in croce (n. 261) (v. nota 3).
Il prezioso quadro fornito dagli inventari è completato dai carteggi conservati in Archivio. Sappiamo dal nutrito scambio di lettere con il suo confessore Tommaso Caiani (v. nota 4) che Lucrezia era particolarmente preoccupata dall’entità del suo corredo magnifico e costoso, non tanto perché non volesse trasgredire le leggi suntuarie, bensì per motivi prettamente spirituali. Era infatti solita chiedersi come sarebbe potuta arrivare in Paradiso avendo vissuto una vita così lussuosa, circondata da ogni possibile ricchezza. Per il suo confessore, il suo status invece richiedeva necessariamente tale stile di vita: il vestiario doveva dimostrare la sua dignità in una società dove questo genere di distinzioni era fondamentale e indiscutibile. La vera domanda riguardava invece, secondo Tommaso Caiani, cosa ella facesse con ciò che era in eccedenza, cioè non necessario a distinguere il suo ruolo nella società. In quel caso, l’obbligo era di adoperare la sua ricchezza per il bene degli altri. La duchessa rispondeva al monito del suo confessore con progetti di bonifica in tutto il ducato, che ella finanziava personalmente. I suoi obiettivi erano chiari: usare la sua ricchezza per portare beneficio agli altri e non per arricchire se stessa.
Nella corrispondenza della duchessa spiccano anche i rapporti con religiosi d'Oltremare. In una lettera del 6 settembre del 1515 indirizzata a Lucrezia (v. nota 5) da padre Nicolò da Tossignano, guardiano del convento sul Monte Sion di Gerusalemme, si legge dell'invio alla duchessa di un prezioso nucleo di sostanze medicamentose provenienti dalle zone d’influenza francescana, l’area palestinese e la limitrofa penisola araba. Il tenore della lettera fa capire che la duchessa era solita rivolgersi al frate, forse uniti anche dal rigore spirituale che accomunava entrambi, per rifornirsi direttamente di alcuni medicinali all’epoca ritenuti più salvifici. Si può quindi ipotizzare anche l'invio da Gerusalemme di altri oggetti sacri, come la croce di legno registrata nell'Inventario delle gioie (n. 245, c. 18v). (v. nota 6)
Auspicando di avervi intrattenuto piacevolmente pur trattando temi complessi, ricordiamo, come già detto, che il nostro intento è offrire pillole e brevi assaggi del contenuto di un volume del tutto peculiare, costituito da varie parti: una rigorosa edizione critica di documenti conservati nell’Archivio di Stato di Modena, una disamina storica sul tema dei gioielli, acconciature e mode rinascimentali, un ricco apparato di immagini a colori di oggetti museali d’epoca o tratte da opere pittoriche del periodo indispensabili per apprezzare meglio il tema trattato.
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Note
1: Inventario delle gioie (1516-1519), cc. 1-2, nn. 1-24 (pdf)
2: Inventario del guardaroba (1502), cc. 112-115 (pdf)
3: Inventario delle gioie (1516-1519), cc. 18-20, nn. 234-268 (pdf)
4: ASMo, Archivio Segreto Estense, Cancelleria, Carteggi e documenti di regolari, b. 22
5: ASMo, Archivio Segreto Estense, Cancelleria, Carteggio ambasciatori, Levante, busta unica
6: Cremonini Patrizia, Il rabarbaro di Lucrezia Borgia e la lettera di fra' Nicolò da Tossignano, custode di Terra Santa. Questioni d'Oriente, spezie, medici e commerci, in Quaderni Estensi, Rivista, II - 2010 (link)
Riferimenti bibliografici
Le notizie e i brani della trascrizione dei due inventari sono estratti dal volume:
I Tesori di Lucrezia Borgia d’Este. Gli inventari del guardaroba (1502-1504) e delle gioie (1516-1519) nel fondo “Archivio Segreto Estense” dell’Archivio di Stato di Modena, edizione critica a cura di Diane Ghirardo, con la collaborazione di Lorenza Iannacci e Francesca Speranza, prefazioni di Anna Maria Buzzi e Patrizia Cremonini, Golinelli Editore 2019. Si vedano in particolare i saggi a cura di D. Ghirardo alle pp. XXIX, XL, XLIX-LI, LIV-LV, LVII, LXXXIX
Della vasta bibliografia prodotta su Lucrezia Borgia ci limitiamo qui a segnalare alcuni note e fondamentali opere legate all'argomento della rubrica:
Cremonini Patrizia, Il rabarbaro di Lucrezia Borgia e la lettera di fra' Nicolò da Tossignano, custode di Terra Santa. Questioni d'Oriente, spezie, medici e commerci, in Quaderni Estensi, Rivista, II - 2010 (link)
Tamalio Raffaele, “Lucrezia Borgia, duchessa di Ferrara”, in Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 66, 2006 (link)
Zarri Gabriella, La religione di Lucrezia Borgia. Le lettere inedite del confessore, Roma, Roma nel Rinascimento, 2006.